Quante cose si possono dire in una sola frase!
Sarà per deformazione professionale, ma mi sono divertita a leggere e interpretare questa frase, chissà se ci ho azzeccato in qualcosa?
“Ciao sono George. Sono il marito di Amal Clooney”. George Clooney si è presentato così pochi giorni fa ad un evento con pubblico prevalentemente femminile, il Variety’s Power of Women a Los Angeles, la premiazione della rivista americana Variety che ogni anno riconosce il merito alle donne del mondo dello spettacolo per le proprie opere filantropiche.
Nonostante l’attore fosse presente per premiare una di loro, con questa frase le ha quasi rubato la scena. Glielo perdoniamo solo perché ci dà importanti spunti di riflessione (che siano veri per lui oppure no… qui è doveroso il beneficio del dubbio).
Clooney si presenta con il suo nome. La sua identità gli è chiara, in quel “Ciao sono George” mi piace vedere la matura consapevolezza di chi è conscio della propria storia, di chi sa chi è, compresi limiti e risorse. Io sono questo. Provate a dire a voce alta “Io sono… “e poi il vostro nome. Che effetto vi fa? Vi sentite sicuri o insicuri? Lo dite con fermezza o sottovoce? E il vostro corpo, come partecipa a questa affermazione? Si incurva, si stringe in se stesso o si apre ed è ben radicato al suolo?
Avere chiara la propria identità, avere un’autostima stabile, aver risolto quel difficile equilibrio tra chi sono nella realtà e chi vorrei essere nel mondo ideale, è una delle condizioni per una vita di coppia ben funzionante. Se questa condizione non c’è, si corre il rischio di farsi continuamente condizionare dal partner, scegliere ciò che sceglie lui, diventare dipendenti, e alla fine ci si può ritrovare in una situazione e in una vita che non si è veramente scelta, ma che è andata avanti per inerzia, per accontentare tutti tranne che se stessi. Non si è costruita quindi una vera coppia, ma si è piuttosto una copia, l’uno dell’altro. E mancano quindi tutta quella creatività, quella relazione autentica, quella fecondità che esistono solo nella reciproca e arricchente differenza.
“Sono il marito di Amal Clooney”. Se George avesse iniziato con questa frase, senza quella precedente che abbiamo già commentato, non sarebbe stata la stessa cosa, per i motivi che abbiamo detto sopra. Invece, proprio perché la sua identità gli è chiara, può specificare successivamente “sono il marito di…” senza il timore di perdersi, senza nascondersi dietro la personalità di nessun altro, anzi, con l’orgoglio di questo suo ruolo.
Potersi definire in relazione a qualcun altro è necessario da bambini, un punto di arrivo da adulti.
Da bambini infatti abbiamo l’esigenza di appartenere, di essere figli di…, fratello di…, sorella di…, nipote di…
L’appartenenza alla nostra famiglia però è croce e delizia, e per qualcuno essere “figlio di..” o “fratello di…” può essere una vera tortura, per mille motivi. Per cui dall’adolescenza in poi ci distacchiamo, almeno psicologicamente, dalle nostre origini, o se non altro ci proviamo, perché abbiamo bisogno di trovare la nostra personale dimensione.
Da adulti poi, una volta che siamo autonomi, appartenere a qualcuno diventa una scelta. Io ti appartengo. Sono la moglie di…, sono il marito di…, sono la madre di…, sono il padre di…
Cosa c’è di più umano che definirsi anche in base alle relazioni che ho intorno a me, senza perdersi negli altri?
E tu che stai leggendo, quali sono le relazioni che ti definiscono?
Non so se George e Amal Clooney sono davvero una coppia felice e che funziona bene, però è vero che sta avendo tenuta alla prova del tempo e che insieme sono anche diventati genitori.
Insomma, al di là del “gossip”, il cuore della riflessione che questa frase mi ha provocato è che solo chi si possiede può donarsi a qualcun altro senza il timore di perdersi.
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