Non sono mamma, ma sono figlia, e so per certo che essere madri non solo è “il mestiere più difficile del mondo” ma è quasi un compito “impossibile”.
Impossibile perché sei chiamata a lasciar andare una creatura uscita da te, dalla tua stessa carne, al suo destino.
Impossibile perché sei chiamata ad essere così umile da passare dallo stato di indispensabile a quello di facoltativa e non più necessaria.
Impossibile perché sei chiamata a mettere da parte le tue aspettative e i tuoi desideri su di lui, per rispettare e assecondare i suoi, anche se non li condividi.
Impossibile perché sbaglierai spesso e solo dopo aver cresciuto i tuoi figli avrai imparato, un po’, cosa significa essere madre, ma il momento opportuno sarà già passato.
Impossibile perché sei chiamata continuamente a “riprogrammarti” nella relazione con una persona che, in fondo in fondo, non conoscerai bene nemmeno tu e sarà sempre, per una certa quota, impenetrabile.
Impossibile perché è un compito talmente grande, con una responsabilità così importante, che non ne sarai mai completamente all’altezza.
Freud stesso ha definito impossibile il compito di educare, perché fa i conti con l’alterità assoluta che l’altro è. Idem per il compito di governare e di psicoanalizzare, sempre secondo Freud.
E allora come si fa? Non bisogna tendere alla perfezione, anzi, sarebbe perfino dannosa, ma basta essere madri “sufficientemente buone” ci rassicura Winnicott.
Una madre è sufficientemente buona quando impara a distinguere i propri bisogni da quelli dei propri figli.
Una madre è sufficientemente buona quando riconosce al figlio il diritto di esprimere la propria unicità.
Una madre è sufficientemente buona se sa “perdere tempo” per giocare con il proprio figlio e, almeno in quel momento, lungo o corto che sia, non pensa ad altro, ma sta-con-lui.
Una madre è sufficientemente buona se sa mettere in discussione le sue idee, il suo modo di pensare e agire, se questo fa soffrire lei stessa e/o il suo bambino.
Una madre sufficientemente buona apprende ad ascoltare e accogliere prima di qualsiasi altra cosa.
Una madre sufficientemente buona è serena e contenta al di là della sua maternità, non carica il proprio figlio del peso della sua felicità.
Una madre sufficientemente buona riconosce l’importanza di fidarsi del padre di suo figlio e gli lascia lo spazio necessario.
Una madre sufficientemente buona apprende l’arte di consolare e rassicurare.
Una madre sufficientemente buona impara a dosare la vicinanza e la distanza, per permettere sia il senso di sicurezza che l’esplorazione.
Una madre sufficientemente buona sbaglia, si arrabbia, si chiude, si ritrae, ma subito dopo sa come riparare e ricucire la relazione.
Una madre sufficientemente buona non è una donna che tende alla perfezione, ma una donna in cammino che accetta di conoscersi fino in fondo e di fare i conti con ciò che è, di accogliersi, e di modificare ciò che può per il bene dei suoi famigliari, oltre che di se stessa.
Ma in fondo, ciò che fa di una madre, una madre, lo “rubo” a Recalcati, con questa citazione che ogni volta che la leggo mi commuove: “quel che resta insostituibile della madre è la testimonianza che può esistere ancora, nel nostro tempo, una cura che non sia anonima, una cura che ami il particolare più particolare del soggetto, una cura capace di accogliere la “rugiada” che viene alla luce del giorno. Non esiste, infatti, un amore per la vita, così come non esiste amore dell’universale. Esiste solo l’amore per l’uno per uno, amore per il nome proprio […] ed è proprio questo amore che la maternità ha il compito di custodire.”
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