La vicenda in cui è stata coinvolta Carola Rackete è spinosa, complessa, ambigua. Per di più è stata strumentalizzata da chiunque si sia sentito legittimato a farlo, pensatori, politici, finanche nazioni.
L’ultimo strascico di questo episodio è questa, a mio avviso, strampalata, iniziativa indetta per il 27 luglio, dove le donne vengono invitate a non utilizzare il reggiseno in solidarietà alla capitana, che ha dimostrato più volte di non essere avvezza ad indossare questo capo d’abbigliamento, abitudine che le è costata un articolo pretestuoso nonché di cattivo gusto su un noto quotidiano.
A che scopo questo #freenipplesday (questo l’hashtag che accompagnerà l’iniziativa)?
Si legge sugli articoli che ne parlano, che “punta ad affermare il diritto per le donne di scegliere come vestirsi, senza essere giudicate.”
Queste le parole delle ideatrici:
“La protesta nasce con l’intento ironico e provocatorio ma con un obiettivo non così leggero: viviamo un momento in cui, gridando allo scandalo, il dibattito politico viene oscurato da dettagli che puntano a distrarre dai veri contenuti e che, allo stesso tempo umiliano le donne, demonizzando il corpo femminile. ” (La Repubblica, 23 luglio 2019)
Forse sono io che non capisco, lo ammetto, ma mi sembra un po’ un pasticcio. Da temi delicati e articolati come l’immigrazione, il rapporto complesso tra i paesi del mondo, la comunque difficile gestione dei migranti… arriviamo al reggiseno, per liberare le donne dai giudizi su come si vestono. Boh, mi sembra che tra le due cose ci sia un abisso.
E, ancora più paradossale mi sembra il risultato: non mettendosi il reggiseno, le donne si procureranno ancora più attenzioni proprio su quella parte del corpo che notoriamente suscita libido nell’uomo, e quindi certamente verranno guardate come un oggetto “interessante”. Ciascuna decida se ciò è umiliante o no.
Va bene che è ironico e provocatorio, ma possibile che non si possa dire nient’altro del rapporto tra donne e politica?
Ad esempio, perché Carola è stata così tenace nella sua disobbedienza, al di là del fatto che ciascuno di noi possa considerarla giusta o sbagliata? Immagino ci saranno state mille ragioni, di tanti tipi, molte delle quali io non le conosco, e senza dubbio tra queste ragioni ce saranno anche di sbagliate, il torto e la ragione non sono mai al 100%.
Però c’è un punto che mi ha colpito, ed è stata la sua dichiarazione di voler salvare vite umane. Ed è esattamente qui che vedo la sua femminilità, non nelle sue minute forme senza reggiseno.
Vedo qui la sua femminilità perché come donna, il suo corpo tutti i mesi si prepara ad accogliere la vita, è fatto per contenere, custodire, generare la vita. Non si può pensare che questa predisposizione alla vita altrui non tocchi la psiche della donna. Non credo che bisogna essere psicoanalisti per rendersi conto di questo, ma cito ugualmente una psicoanalista, Helene Deutsch, che nel testo La psicologia della donna afferma proprio questo: “La psiche femminile contiene un fattore che nell’uomo manca: il mondo psicologico della maternità”.
E bisogna precisare che non è necessario essere madri “di pancia”, cioè donne che hanno realmente partorito la vita, per riconoscere e prendere contatto con questo aspetto che appartiene al nostro mondo interno, in modo più o meno inconscio, e che rende il nostro cuore più vulnerabile a lasciarsi interpellare dalla vita altrui.
Ecco allora che se davvero vogliamo ridare valore al corpo femminile, credo che questo sia l’aspetto più autentico dell’essere donne da promuovere, e che questa sia anche la sensibilità da donare al mondo sociale e politico: umanizzare il mondo, custodire la vita, essere “per la vita”. Questi i “veri contenuti” (citando le ideatrici) che come donne siamo chiamate trasversalmente a trasmettere, non capezzoli visibili sì o capezzoli visibili no.
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