Nei giorni scorsi sono andata al cinema a vedere Mio fratello rincorre i dinosauri, spinta per lo più dal fatto che il film fosse girato nei comuni della mia zona e non a caso già alla prima scena del film ho riconosciuto il parcheggio del supermercato dove faccio spesa di solito. Non avevo il letto il libro (anzi, ho scoperto dopo della sua esistenza) e non sapevo granchè della storia, tra l’altro autobiografica, ma sono rimasta piacevolmente colpita dalla famiglia che viene raccontata, dai rapporti tra coniugi, tra genitori e figli, tra fratelli, e infine dalla relazione familiare nel suo insieme.
Il protagonista e la voce narrante è Giacomo Mazzariol, terzogenito, preceduto da due sorelle, di una famiglia in cui nasce come quarto figlio Giovanni detto Giò, un bambino con la sindrome di Down. Nel film è raccontato l’entusiasmo per un fratello “speciale” ma anche la vergogna che ciò comporta quando il protagonista entra nell’adolescenza.
Credo sia davvero un bell’esempio di come la famiglia possa essere un luogo di crescita e uno spazio relazionale ricco e “includente”. Ma non solo includente perché accoglie un figlio con sindrome di Down, sarebbe troppo poco, piuttosto includente rispetto all’originalità di tutti i suoi membri, includente perché capace di tenere al suo interno tutte le emozioni, anche la paura e la rabbia, includente perché capace di ascoltare i diversi punti di vista, e infine, proprio perchè includente, diventa una potente forza unita nella collaborazione e nel sostegno reciproco.
Ogni tipo di relazione offre spunti interessanti:
– innanzitutto quella di coppia: nel film la coppia di genitori è una coppia reale, non è con-fusa nel ruolo di genitori, ma Katia (interpetata da Isabella Ragonese) e Davide (Alessandro Gassman) sono una coppia unita, che affronta con complicità e solidarietà l’evento inatteso di accogliere un figlio “diverso” e di farlo accogliere all’interno della famiglia; inoltre si sostengono a vicenda nei movimenti di crescita personale, come si evince dalla risposta incoraggiante di Davide al progetto di Katia di seguire dei corsi universitari;
– le relazioni tra fratelli: il focus principale è sul rapporto tra Giacomo e Giovanni, conflittuale per alcuni aspetti, soprattutto per Giacomo, ma anche di grande amore;
Ma le relazioni che ho apprezzato di più sono quelle tra genitori e figli e quindi quelle familiari nel loro insieme, che mostrano alcune caratteristiche delle famiglie “sane”:
– ci sono dei riti: la famiglia, quando deve dare delle notizie importanti si riunisce in macchina nel parcheggio del supermercato, sempre lo stesso;
– si trasmettono narrazioni familiari: si scopre poi il perché di quel parcheggio, perché lì Katia e Davide si sono incontrati per la prima volta; sia i riti sia le narrazioni sono importanti per rafforzare l’identità famigliare e per trasmettere valori ed esperienze.
– si comunica in modo aperto e rispettoso degli altri e, quando opportuno, si prendono decisioni insieme: esemplare il dialogo attorno alla tavola rispetto alla decisione di lasciare che Giò possa tornare a casa da solo da scuola oppure no;
– si collabora e si rendono autonomi i figli: dato che viene deciso che Giò può tornare da solo, ma la sua capacità reale è da verificare, la famiglia organizza un sistema di “vigilanza” che abbia l’obiettivo di scortare e supportare Giò nel raggiungere questo importante traguardo di autonomia, ma senza sostituirsi a lui, anzi facendogli correre un rischio (rimanere bloccato dall’indecisione sulle strisce pedonali mentre scatta il verde per le auto) piuttosto che subentrare a lui. E questo approccio naturalmente vale per tutti i figli, non solo per chi ha disabilità.
– gli errori non vengono puniti e chi sbaglia non viene isolato, piuttosto gli errori vengono compresi in un dialogo e chi sbaglia viene ascoltato e perdonato: questo mi ha particolarmente colpito e credo sia uno stile che tanti “predicano” ma davvero pochi “razzolano”. Del resto, quando un membro della famiglia sbaglia, si mettono in circolo molte emozioni e sentimenti non proprio graditi, soprattutto delusione e rabbia, che se non vengono gestiti bene dagli adulti, rischiano di mettere un muro che sarà sempre più impenetrabile. Invece, far sbollire questi sentimenti per poi, in un secondo tempo, cercare di comprendere cosa abbia portato a quel comportamento, porta ad un approfondimento delle relazioni e ad una fiducia reciproca maggiore. Nel film, la famiglia, in auto nel parcheggio del supermercato, aspetta fino a che il nodo non si scioglie, fino a che Giacomo non può dire, essendosi prima sentito accolto e sostenuto, cosa prova, cosa sente, cosa c’è stato alla base del suo gesto, e finalmente può chiedere perdono ed essere perdonato dalla famiglia in un bellissimo abbraccio finale di tutti i componenti.
– infine, i ruoli non sono rigidi: infatti, alla termine del film, il figlio da includere non sarà Giò, ma l’adolescente Giacomo.
Grazie famiglia Mazzariol, attraverso chi vi ha dato voce, vostro figlio Giacomo, e chi vi ha dato un volto sullo schermo, portate un bel messaggio e un bell’esempio per tutte le famiglie che vorranno coglierlo.
via Francesca Edera de Giovanni 16/e
Bologna
cavicchigiulia@gmail.com
+39 370 316 62 19
corso Roma 13
Sant’Agostino (Fe)
© Copyright 2017 Cavicchi Giulia